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Artist Rating: 30,5
Categoria (Artista, Collezionista o Gallerista): Artista
Stile:
Città: ROMA
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Via: San Damaso n. 15
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Hanno scritto di Aleardo Koverech (selezione):
Renzo VESPIGNANI:
“…..Ecco il vero e costante tema della pittura di Koverech: la materialità del colore, la fisicità della pasta cromatica che lievita come artificio e ricerca della “grazie formale”. E forse come geologia del reale: il mondo è una scheggia lavica ancora calda, e a tenerlo in mano scotta, insopportabile (….) Ma se il quadro sboccia in una luce accecante, e la forma di brace conserva il motivo del reale come un simulacro di cenere (….) Egli non è attratto dal significato della realtà ma dalla possibilità che, alla fine del viaggio, la realtà ne avrà uno. Assoluto.....”
Alberto SUGHI:
“.....Piu’ che illustrare le qualità della tua pittura, caro Aleardo, mi piacerebbe saper descrivere il tuo rovello, la tua inesausta passione, l’emozione davanti alla tela, il gioco difficile delle attese e dei silenzi. La tua continua rincorsa verso un punto intravisto e irraggiungibile come ogni orizzonte. Raccontare come il tuo sguardo si sposti dai quadri che hai dipinto agli occhi di chi è venuto a trovarti confidando di vedere casomai svelato nell’espressine del visitatore il segreto che la tua pittura nasconde....”
Franco FERRAROTTI:
“....Guardo un quadro di Aleardo Koverech, mi immergo nelle ombre diafane di un suo disegno. Comincio a capire, a tasto, quest’uomo che è insieme artista e scienziato, devoto all’intuizione fulminante e alla sperimentazione controllata. L’opinione comune lo vorrebbe scisso, condannato alla schizofrenia. L'opinione comune è la premessa del luogo comune. E il luogo comune, quando non è lieu d’aisance come voleva Léon Bloy, è un luogo di perdizione....”
DOMENICO GUZZI:
...annota, come “.....Ferrarotti insista, e giustamente, sulla doppia anima di Koverech: quella dello scienziato che analizza e quella del pittore che intuisce, ed intuendo, interpreta (…) Avverti, si, il contatto diretto con il vero ma pur anche il suo superamento nella mera concessione del “fare”. A cui, non di meno, concorre, e come sempre, è ovvio, l’assieme d’una memoria culturale che funge da sedimentazione e che si riverbera nell’immagine, a volte, quale intuizione e soluzione. Via per la quale, ancora ed infine, pur avverti che la fragranza della realtà q quella dell’astrazione trovano unità nell’unità stessa dell’opera...”